Il prof Paolo Fornasiero e il dr. Tiziano Montini allungando dei nanobastoncini di biossido di titanio sono stati in grado di produrre più velocemente e in maniera più sostenibile l’idrogeno.

Produrre idrogeno e ossigeno dall’acqua può sembrare fantascientifico, ma è l’obiettivo di chimici e ingegneri dei materiali come il professor Paolo Fornasiero e il dr. Tiziano Montini dell’Università di Trieste, dell’Istituto ICCOM-CNR e del Consorzio INSTM. Esperti nel campo della catalisi, e in particolare della fotocatalisi – metodo che usa la luce e un catalizzatore per accelerare reazioni chimiche – i ricercatori hanno mosso un importante passo verso tale traguardo modificando la struttura di un materiale comune, l’ossido di titanio, detto titania, per produrre idrogeno in modo più efficace a partire da composti derivati da biomasse.

Frutto di una pluriennale collaborazione internazionale con le prestigiose università americane UPenn e Drexel di Philadelphia e di Stanford, con l’università di Cadice in Spagna e l’istituto di catalisi di Liebniz, la ricerca ha dimostrato che nano-bastoncini di titania, 1000 volte più piccoli del diametro di un capello, producono idrogeno tanto più velocemente quanto più sono lunghi. Siccome il processo di sintesi di questi piccoli bastoncini è relativamente semplice da riprodurre anche su larga scala, questa scoperta potrebbe avere importanti implicazioni sul futuro dell’energia rinnovabile e della produzione sostenibile di idrogeno.

La ricerca è stata pubblicata sulla rivista Proceedings of the National Academy of Sciences.

«L’idea di base è riuscire a produrre idrogeno da nulla più che la luce del sole, un catalizzatore e dei composti che si possono ottenere dalle biomasse. In questo modo non lo dovremmo produrre da combustibili fossili, il cui sfruttamento ha un notevole impatto sul riscaldamento globale.» – così ci spiega Fornasiero, che ha coordinato la ricerca assieme al collega americano Christopher B. Murray della UPenn. «Se potessimo ottenere l’idrogeno in modo davvero rinnovabile e sostenibile, allora entreremmo in una nuova era energetica.»

Il concetto è semplice: la titania assorbe la luce del sole e sfrutta l’energia immagazzinata per generare idrogeno attraverso una reazione chimica. Tuttavia, i veicoli di questa trasformazione energetica, ovvero elettroni e buche, avendo carica opposta, tendono ad attrarsi e reagire gli uni con gli altri anziché concorrere alla reazione chimica desiderata.

Elettroni e buche hanno ruoli diversi nella reazione: i primi, carichi negativamente, prendono parte a reazioni di riduzione, mentre le buche, cariche positivamente, compiono reazioni di ossidazione. «L’obiettivo finale è che gli elettroni riducano l’acqua a idrogeno, mentre le buche la ossidino a ossigeno.» dice Montini.

Per evitare che elettroni e buche reagiscano fra loro troppo velocemente, il gruppo di ricerca ha cercato di separarli sintetizzando nano-bastoncini di titania lunghi da 15 a 50 nanometri, arrivando a stabilire che i bastoncini più lunghi erano quelli più attivi. Gli scienziati sono infatti riusciti a forzare elettroni e buche a reagire con l’acqua anziché con sé stessi.

«Potremmo essere di fronte a un principio generale, molto utile per sviluppare catalizzatori più efficienti. Queste strutture allungate permettono agli elettroni di fuggire dalle buche come fossero su un lungo rettilineo, così da reagire più velocemente con altre molecole.» afferma il Professor Fornasiero.

«Il biossido di titanio – prosegue Montini – è inoltre utilizzato comunemente in molte applicazioni quotidiane, dalle creme solari ai materiali autopulenti, come quelli utilizzati nelle comuni righe bianche delle nostre strade. La possibilità di modulare l’interazione della luce con questi materiali può offrire grandi opportunità anche in altri campi applicativi.»

Non è il primo studio su questo tipo di materiali, ma fino a ora nessuno aveva usato un approccio di sintesi così raffinato da poter preparare bastoncini altrettanto piccoli e di lunghezza uniforme fra loro. «Altre tecniche permettono di intagliare i materiali un po’ come farebbe uno scultore, fino a ottenere strutture sempre più piccole. Ma così facendo si perde in precisione e in possibilità di miniaturizzazione» spiega il Professor Matteo Cargnello della Stanford University, ex dottorando di ricerca in Nanotecnologie dell’Università di Trieste e primo firmatario dell’articolo. «Il nostro invece è un approccio dal basso, cioè a partire da singoli atomi di titanio uniti fra loro come mattoncini di un lego per produrre forme precise sulla scala dei nanometri.»

Nonostante il risultato sia promettente, i ricercatori non sono ancora in grado di far reagire pura acqua per produrre idrogeno e ossigeno. A oggi si usano composti derivati da biomasse quali alcoli (per esempio etanolo), che reagiscono a dare idrogeno e anidride carbonica. Produrre CO2 è il tabù energetico del nuovo secolo, ma Fornasiero ci rassicura: «le piante assorbono CO2 convertendolo in altra biomassa, il che permette di instaurare un ciclo del carbonio relativamente virtuoso, al contrario di quanto avviene coi combustibili fossili.»

L’idrogeno promette di essere un’alternativa ai combustibili fossili a emissioni zero, se non prodotto da gas naturale. Lo scoglio da superare ora, secondo Fornasiero, è che i combustibili fossili sono ancora molto convenienti perché poco costosi. Ma il panorama potrebbe cambiare con la scoperta di materiali più efficienti e capaci di produrre idrogeno sfruttando la luce del sole e composti abbondanti e disponibili. «Allora forse potremmo competere con la produzione di idrogeno da combustibili fossili» dice «e con il nostro lavoro muoviamo un passo in questa direzione.»

Fonte:
Ufficio Stampa
Università di Trieste

Link utili:

Http://www.pnas.org/content/early/2016/03/23/1524806113.abstract

http://www.dsch.units.it/~fornasiero/index.htm